Paradigmi, coscienza e psichedelia


Sono intervenuto come relatore alla seconda edizione degli Stati Generali della Psichedelia 2020 perché sono l’autore di The Magic Mushroom User’s Guide, un libro – finalmente in italiano e poi anche in lingua inglese – sui funghi magici. Dietro l’apparente aspetto di manuale di istruzioni per l’uso dei funghi psilocybe, in realtà si nasconde un guida sull’esplorazione della coscienza e la conoscenza di sé stessi. Questo mi ha portato a preparare un intervento sulla coscienza e la psichedelia all’interno del più importante e pervasivo paradigma, cioè quello legato alla percezione comune di cosa sia la realtà nella quale viviamo.

Una breve premessa

L’esplorazione della coscienza non è appannaggio esclusivo della ricerca psichedelica, ovviamente, ma se escludiamo i percorsi mistici tradizionali probabilmente le intuizioni più profonde su questo argomento sono arrivate all’umanità proprio dall’uso di sostanze psicoattive.

Di coscienza si occupano numerose discipline, per esempio la filosofia, la psicologia, la psichiatria, le neuroscienze e le neurotecnologie, io invece oggi porto le mie riflessioni come psiconauta con lunga esperienza, e con un altrettanto lungo percorso di ricerca e sviluppo personale e spirituale, iniziati entrambi esattamente 40 anni fa.

Per parlare di coscienza e psichedelia devo cominciare dalle basi, cioè da quello che noi percepiamo come realtà. Per poter fare questo, ci aiuta la comprensione di cosa è un paradigma.

Cos’è un paradigma?

È una visione del mondo condivisa dalla maggioranza delle persone in un determinato periodo storico. Per questo motivo si tende a darlo per scontato, è un po’ come l’acqua per i pesci, un’esperienza talmente immersiva che non viene percepita fino a quando si riesce a vederla dall’esterno. L’esperienza psichedelica è una di quelle occasioni in cui la “posizione percettiva” può cambiare drasticamente e far realizzare l’esistenza di visioni del mondo molto diverse da quella condivisa e dominante.

Il paradigma dominante oggi

Qual è il paradigma che plasma e determina la visione che gli esseri umani hanno oggi del mondo e della realtà in generale?

Il paradigma più forte ma “invisibile” ai più è quello meccanicistico, dove le persone e gli oggetti della realtà vengono percepiti come soggetti autonomi, separati tra loro e da noi, che agiscono secondo un principio di causa-effetto. Chi è che dubita che gli oggetti e le persone siano separati, con confini definiti e che interagiscono tra loro?

All’interno di questo paradigma si muove tutto, scienza, religione, psicologia, economia, politica, educazione… in questo periodo storico è così, infatti quasi tutti danno per scontato che la coscienza si trovi confinata dentro al corpo e che il resto del mondo stia fuori dai confini del corpo. Se io allungo la mano e prendo un bicchiere, agisco in un universo che oggettivamente si trova fuori di me, perché io sono sempre dentro al mio corpo e agisco in un ambiente esterno e separato da me.

Un nuovo paradigma

Ma la scienza da quasi un secolo ci sta descrivendo una nuova concezione dell’universo, ci dice che cose e persone non sono oggetti separati da noi, ma sono al nostro interno, dentro la nostra coscienza. Questo nuovo paradigma ci dice che il mondo è fabbricato dal nostro cervello ed è pertanto la proiezione esterna di quello che siamo interiormente.

Le conseguenze di questo nuovo paradigma sono impressionanti e meriterebbero una lunga esplorazione, ma per rimanere nel tema di questo intervento proseguo portando l’attenzione soltanto su quello che secondo la fisica moderna dà origine al nostro personale universo: la nostra coscienza.

L’esplorazione della coscienza è un tema tra i più importanti della ricerca umana e della ricerca psichedelica in particolare. Alla luce del nuovo paradigma quantistico il tema diventa l’esplorazione dell’universo, ed è ancora più interessante, ma chi è che esplora la coscienza e l’universo? Da tempo uso funghi psilocybe per capire chi sono, ma soprattutto per comprendere chi vuole sapere chi sono!

Che cos’è la coscienza?

“La coscienza di esistere come individuo non è la somma di pensieri, emozioni e sensazioni, ma una ben radicata consapevolezza di “esserci”, una coscienza di esistere come unità individuale. Secondo il nuovo paradigma quantistico non possiamo essere certi dell’esistenza del mondo intorno a noi, infatti non possiamo fidarci di una serie di immagini sensoriali. Invece, qualcosa di cui possiamo essere certi senza dubbio è questa strana e difficilmente definibile sensazione di esserci, ovvero di essere qualcuno o qualcosa che abita dentro al corpo. Questa sensazione per convenzione la definiamo IO, pur non avendo idea di cosa sia. Filosofi, chimici, fisici non ne sono mai venuti a capo, eppure tutti vivono facendo finta di sapere cosa vogliono dire quando si toccano il petto e dicono IO.”

Ringrazio Salvatore Brizzi per questa definizione, lui è uno scrittore e conferenziere torinese da cui traggo sempre ispirazioni e comprensioni, che cito anche per rendere omaggio alla città che virtualmente ha ospitato questo importante convegno.

Se puntiamo la lente di ingrandimento su “coscienza” vediamo subito come sia strettamente legata a “consapevolezza”, spesso sono termini complementari o che vengono usati in sinergia o anche come sinonimi, infatti per la maggior parte delle persone sono quasi equivalenti. Da un certo punto di vista sono inscindibili, infatti anche io mi chiedo come possa esistere negli esseri umani, non negli animali, la coscienza senza la consapevolezza, però se entriamo nello specifico, coscienza e consapevolezza sono diversi e non sinonimi.

Da psiconauta, cioè da esploratore degli stati di coscienza, mi chiedo se sia meglio dire stati di coscienza o stati di consapevolezza, ma dato che nessuna delle due è oggettivabile, arbitrariamente definirei la coscienza come una qualità collegata alla totalità dei fatti psichici, cioè alle funzioni e al funzionamento della mente, mentre la consapevolezza è una qualità dell’essere, che si colloca su un livello sovramentale, è una qualità intuitiva. Sempre rimanendo nella mia visione arbitraria, direi che è come se fossero la stessa cosa ma su due diverse ottave. Vediamo meglio.

La coscienza mi fa dire “io” mentre la consapevolezza mi permette di dire “io so di essere”, quindi la seconda è in metaposizione rispetto alla prima, cioè si trova ad un’ottava superiore. E ancora, la coscienza è identificata mentre la consapevolezza è disidentificata o almeno è consapevole di essere anche identificata. Infatti l’uso del termine “IO” presuppone una identificazione, che è presente in tutti e due i casi, ma la consapevolezza “sa” che questa identificazione esiste, mentre la coscienza non necessariamente lo sa.

Questo è un punto utile e interessante per la mia ricerca, il concetto di identificazione. Questo lo collego più facilmente all’esperienza psichedelica, perché è una situazione che tutti gli psiconauti hanno vissuto. Pensateci, il viaggio inizia sempre nella piena identificazione per portarci spesso ad uno stato di disidentificazione. Da psiconauta questo mi è successo molto spesso, sempre di più da quando ho completamente focalizzato le mie esperienze solo sull’esplorazione della coscienza, sul restare nella sensazione di esserci, non distratto dalle sollecitazioni della mente pensante, la famosa scimmia nella testa.

In questi anni ho compreso che si arriva alla consapevolezza passando attraverso la sperimentazione consapevole degli stati di coscienza, e i funghi psilocybe sono maestri nel mandare in tilt la coscienza e la mente, questo è il loro compito nelle intense fasi iniziali di un viaggio, dove tutto punta a sopraffare la mente, cioè la nostra parte razionale e cosciente.

Che cos’è la mente?

Non penso che la mente sia un soggetto particolarmente degno di essere indagato se non per capire quel tanto che basta per saperla usare; infatti la mente è uno strumento che ci consente di agire nella dualità, che alla luce del paradigma quantistico sappiamo essere un’illusione. Per una proprietà transitiva anche la mente è un’illusione, sicuramente utile ma non reale. Questo concetto è destabilizzante per chi non ha mai provato certi stati psichedelici, dove si fa l’esperienza di esistere lo stesso anche senza la mente. Chi l’ha provato sa bene che questo stato di “no-mind” è sempre percepito come una condizione di gioia e lucidità, dove esiste solo la consapevolezza di essere. Senza la mente si provano momenti di ineffabile bellezza.

La mente inoltre è intrinsecamente legata al paradigma meccanicistico, perché entrambi sono duali. Di questo troviamo evidente conferma osservando la nostra realtà, che in ossequio al paradigma dominante è duale. Tutto quello che percepiamo è duale, usiamo un linguaggio duale, tutto quello che ci circonda è polarizzato, e questo fatto è insito e implicito nella realtà che riusciamo a rappresentarci. Non è un problema, è un dato di fatto, costituisce un aspetto dell’esperienza umana. La parola chiave ancora una volta è identificazione.

L’esplorazione della coscienza

Che la mente voglia indagare la coscienza è paradossale, perché cercherebbe di indagare quello di cui è costituita, è come se l’occhio volesse vedere sé stesso; ma fortunatamente abbiamo degli strumenti a disposizione, infatti lo specchio serve all’occhio così come gli psichedelici servono alla mente.

Questo è un punto interessante: in che modo gli psichedelici ci aiutano ad esplorare la coscienza? Il viaggio psichedelico inizia sempre con una forte presenza della mente, l’identificazione con la mente è totale, infatti proviamo ansia e agitazione, segni evidenti di una identificazione psicofisica. Questo è il nostro stato ordinario, noi siamo identificati con la mente, quindi è naturale usarla per esplorare noi stessi, o almeno si comincia sempre così!

Come abbiamo visto prima, la mente però è uno strumento inadeguato, ma qui giungono in soccorso gli psichedelici, e lo fanno in modo controintuitivo, cioè non aiutano la mente ma la mettono in stand-by, affinché non ostacoli l’indagine interiore. Non sto dicendo che la mente sia dannosa in questo lavoro interiore, ma qui più che mai serve sapere come utilizzarla in modo che ci sia di aiuto e non di ostacolo.

Gli psichedelici mettono in stand-by la mente significa che interrompono la nostra identificazione con essa; in quel momento la mente può essere usata come uno strumento analitico se e quando lo desideriamo, al contrario del solito in cui è la mente a utilizzare noi. Vedere “Default Mode Network” per capire il meccanismo di funzionamento di questa fase.

In che modo dovremmo usare – o non usare – la mente quando siamo disidentificati?

Secondo le antiche tradizioni di saggezza l’indagine più utile è chiedersi “CHI vuole esplorare la coscienza?” o “CHI vuole meditare?” e l’unico modo che può permetterci di scoprirlo è restare nella sensazione di esserci e attendere quello che accade, senza altro scopo. L’autoindagine consiste nel dimorare, ovvero nello stare fermi in sé stessi, nello stato di “ricordo di sé”, per scoprire cosa è davvero l’io. Questo è il fine ultimo dell’indagine umana: Conosci Te Stesso, Temet Nosce, Gnōthi Sautón!

Esplorare la coscienza con gli psichedelici per arrivare alla realizzazione consapevole – o Risveglio – è allettante, ma non è possibile sia nello stato psichedelico che nello stato di coscienza ordinario, perché la realizzazione consapevole – o Risveglio – è non duale e per questo motivo non può trovare origine nell’azione nella dualità. Mente, volontà o qualsiasi qualità possiamo impegnare per raggiungere questo risultato non sono adatte, è come voler misurare l’altezza di un muro con una bilancia. Le qualità duali in realtà ci ostacolano, bisognerebbe volere senza desiderare o agire senza fare.

Il processo della realizzazione è paradossale, è il “risultato”, se così si può dire, di una integrazione degli opposti, che si supera attraverso una realizzazione sovramentale, intuitiva, non certamente mentale e volitiva. Questo è un percorso paradossale come quello dei Koan Zen.

L’unica domanda possibile sulla coscienza

Allora, che cos’è la coscienza? Ce lo domandiamo da millenni senza trovare risposta, ma ci serve scoprire esattamente cosa sia la coscienza?

Ho un Master in PNL e Ipnosi Ericksoniana, in tanti anni di studio e pratica ho imparato che non serve a nulla sapere cosa c’è dentro la mente. Infatti è sufficiente considerarla una scatola nera che risponde a certi input e produce certi output, e conoscere questo è quello che serve per sapere cosa fare e ottenere dei risultati concreti e utili.

Detto questo, per me rimane una sola domanda da farsi per comprendere qualcosa di realmente utile sulla coscienza e sull’esperienza psichedelica. Qual è?

È semplice ed è questa: “la coscienza è un epifenomeno del cervello oppure il cervello è l’apparato ricevente della coscienza?” Lo dico meglio: la coscienza esiste a prescindere dal mio apparato psicofisico oppure è prodotta dal cervello?

Quale che sia la tua risposta, chiarire questo punto è fondamentale, è una “sliding door” che determina qualsiasi considerazione si possa fare su qualsiasi questione della vita e anche nello specifico dell’esperienza psichedelica.

Trovare risposta a questa domanda è più alla nostra portata che l’indagine su CHI stia cercando risposta a qualsiasi domanda o su che cosa sia la coscienza.

Tertium non datur? No, c’è anche una terza posizione, cioè non sapere la risposta. Questa ignoranza si giustifica solo se stai ricercando la risposta, esplorare la coscienza per capire dove ha origine è la ricerca fondamentale. Cosa poi sia la coscienza non è importante perché so per certo che prima o poi tutti lo comprenderemo, è soltanto una questione di tempo.

Concludo…

…affermando che la priorità è superare il proibizionismo vigente sulle sostanze psichedeliche, e purtroppo il mio intervento non porta nessun contributo a questa causa. Parlare di coscienza in questo mondo è un tema caro a quattro gatti e ai sinceri psiconauti, c’è altro sotto i riflettori di questi tempi.

Sono convinto che l’iter anglosassone sia l’unico attualmente percorribile, cioè dimostrare la sostanziale innocuità fisiologica delle sostanze e la loro utilità per applicazioni mediche. Oggi la religione si chiama “lodicelascienzah”, il percorso di approvazione scientifica è di certo la strada più efficace in questo determinato momento storico. Non sono convinto che sia la strada migliore, al contrario, ma per ora non ne vedo altre.

Io ritengo più appassionante la questione della coscienza e della guerra che le stanno facendo su tutti i fronti, ma non mi illudo, gli anni peggiori per questa fondamentale questione devono ancora arrivare.

Conclusione un po’ pessimistica, lo so, ma secondo me è realistica. Questo non vuol dire che mi senta scoraggiato o abbattuto, al contrario, credo che questa fase di decadenza dei valori umani fondamentali sia parte di un ciclo naturale in cui quello che sta succedendo sia stato ampiamente previsto e descritto – Kali Yuga per dire un termine che molti comprenderanno. Avrei voluto anche parlare di Spirito e spiritualità, così strettamente legati all’uso di sostanze psichedeliche, ma avrei aperto un argomento senza poterlo chiudere, avevo a disposizione 15 minuti scarsi.

Tante difficoltà personali e sociali sono legate alla mancanza di una dimensione essenziale dell’essere umano, quella dello Spirito, difficoltà che ci sono anche alla base della maggior parte dei problemi che si affrontano durante i viaggi psichedelici! I bad trip in fondo sono causati dalla mancanza di fede – e anche dalla totale mancanza di punti di riferimento interiori, che ci fanno smarrire e soffrire durante certe fasi del viaggio psichedelico.

Di questo e di altri temi legati alla qualità dell’esperienza psichedelica sto scrivendo in un nuovo saggio che pubblicherò presto, sono alla revisione finale ed è quasi finito, anche questo secondo libro si sta scrivendo da solo, sull’onda dell’urgenza di fare chiarezza, ragionare su chi siamo e per conoscere sé stessi.

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DM Tripson

DM Tripson ha pubblicato i suoi primi racconti a 15 anni, sicuro di diventare presto uno scrittore, ma dopo qualche decennio speso a fare tutt’altro ci aveva rinunciato. Un giorno ha scoperto i funghi magici, un incontro straordinario di quelli che ti cambiano la vita, infatti è solo con il loro aiuto che ha potuto scrivere tre libri e decine di post su questo blog!

3 thoughts on “Paradigmi, coscienza e psichedelia

  1. Grazie ! Apprezzo molto il tuo impegno su questi temi e comprendo la tua visione. Alcuni sono in viaggio, pochi i ben equipaggiati. Ci vorrebbe una scuola del nuovo paradigma per interrompere questa ricorsività . Nello stesso tempo respiro lieve e sorrido. Buona vita

  2. Saggio fungo e coscienza umana, connubio indispensabile per un nuovo paradigma. Viaggiare sereni consapevoli della vibrazione infinita che scorre nella vita

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