L’Amanita muscaria, informazioni e storie di viaggio


È un fungo bellissimo, noto a tutti ma davvero poco conosciuto: l’Amanita muscaria.

Probabilmente è il fungo più rappresentato e più familiare al mondo, compare in tantissime illustrazioni, comprese quelle usate per le favole dei bambini. Eppure è un fungo considerato velenoso, ma nonostante ciò grazie al suo aspetto così particolare e caratteristico viene sovente usato come rappresentante dei funghi, soprattutto nell’iconografia natalizia, mitologica e fiabesca. Per esempio, chi non conosce Alice nel Paese delle Meraviglie?

Cappello rosso con i punti bianchi, nessun altro fungo è come l’Amanita, molto facile da riconoscere, il suo habitat è estremamente vasto, nel mondo cresce quasi dappertutto. Sono frequenti le sue rappresentazioni come fungo sacro in tante immagini, sculture e bassorilievi dell’antichità, molti autori sostengono che sia alla base della nascita di culti e religioni.

Contrariamente a quello che si dice, l’Amanita muscaria non è velenosa, bensì psicoattiva, anche se in un modo diverso dai suoi cugini funghi che basano il loro effetto sulla presenza di un principio attivo differente: la psilocibina. I funghi psicoattivi infatti sono costituiti da due grandi famiglie: i funghi psilocibinici – con oltre 200 specie – e i funghi isossazolici. A quest’ultima famiglia, come rappresentanti psicoattivi, appartengono l’Amanita muscaria e l’Amanita pantherina che vedi qui sotto.

Nella stessa famiglia delle Amanitaceae troviamo anche l’Amanita phalloides, il fungo più velenoso del mondo, ne basta davvero poco per essere letale, al punto che metterlo nella cesta con altri funghi commestibili fa sì che nessuno di questi potrà più essere consumato. Le sostanze velenose per l’uomo non vengono eliminate in nessun modo: cottura, essiccazione, disidratazione o congelamento non hanno effetto sulla sua letalità. Qui sotto vedi degli esemplari di Amanita phalloides.

Non ho mai scritto a proposito dell’Amanita muscaria e dell’Amanita patherina perché non le ho mai provate, ma sono certo che lo farò. Stranamente, e meno male, la legge non proibisce questi funghi! Ma nel frattempo che mi arriva l’occasione buona, ti propongo il resoconto diretto di un gruppo di amici che ha fatto un’esperienza con questi funghi.

È una storia molto interessante, è la stessa esperienza raccontata dai punti di vista soggettivi dei 4 partecipanti: i FÆW Brothers. Si chiamano Farkas, Aleinn, Einar e Willard, sono appassionati della cultura norrena, hanno viaggiato e partecipato a eventi in Norvegia. Sono molto contento di ospitare il racconto delle loro storie in questo blog dedicato ai funghi magici, ma che ha sempre raccontato soltanto dei funghi psilocybe. Questo che stai per leggere è un articolo molto lungo, voglio recuperare tutto lo spazio che non ho mai dedicato a questi particolari funghi magici, qui potrai trovare tante informazioni di prima mano molto utili e ricche di spunti di riflessione.

I fantastici 4 FÆW Brothers mi hanno scritto il loro resoconto individuale, in più Farkas ha preparato una relazione scientifica, con termini asettici ma nello stesso tempo appassionati ci racconta alcune informazioni su questo fungo che si contende il titolo di fungo magico con i numerosi rappresentanti della famiglia psilocybe.

Alla fine di tutte le narrazioni, in chiusura di questo lungo articolo, troverai le mie conclusioni con alcune riflessioni sui funghi psicoattivi, in particolare il confronto tra le due grandi famiglie psilocibiniche e isossazoliche.

Iniziamo con la ricerca, a seguire trovi i racconti di viaggio di ogni partecipante.

A. MUSCARIA & A. PANTHERINA – Elementi di biochimica, farmacologia ed etnomicologia

di Farkas l’Ardito

La rinomata e appariscente Amanita muscaria, e la meno famosa ma più possente Amanita pantherina, sono funghi psicoattivi. Appartengono alla larga categoria degli allucinogeni in quanto la loro ingestione può causare, tra gli altri effetti, allucinazioni di tipo visivo e/o uditivo. Più specificatamente, essi sono dei delirogeni, definizione che pertiene a quelle sostanze che primariamente causano delirium o stati confusionali acuti (Duncan, Gold 1982). Altri tipi di allucinogeni sono gli psichedelici (e.g. LSD, mescalina) e i dissociativi (e.g. ketamina, Salvia divinorum). Evidenza in favore di questa classificazione è data dalla incredibile somiglianza tra gli effetti di A. muscaria e A. pantherina, noti in gergo medico come “sindrome panterinica/muscarinica”, con gli effetti di ben più note piante delirogene della famiglia delle Solanacee, come la Belladonna (Atropa belladonna), lo Stramonio (Datura stramonium) e la Mandragora (Mandragora officinarum), i cui composti attivi sono atropina e altri alcaloidi tropanici (Michelot, Howell 2003).

A. muscaria e A. pantherina però non contengono alcun alcaloide tropanico, i principali composti attivi sono acido ibotenico e muscimolo. Tramite decarbossilazione il primo si trasforma nel secondo: ciò può avvenire tramite deidratazione, quando i funghi vengono fatti essiccare, o tramite digestione gastrica. Entrambe le sostanze sono concentrate maggiormente nelle cappelle che nei gambi. Nei funghi freschi, A. muscaria contiene in percentuale più acido ibotenico e meno muscimolo, mentre in A. pantherina è il contrario. In termini assoluti, considerando la quantità totale cumulativa dei composti psicoattivi (acido ibotenico+muscimolo), A. pantherina è sostanzialmente più potente. Per i dettagli quantitativi si consulti la letteratura in merito (Vendramin, Brvar 2014).

Studi hanno dimostrato comunque che l’ingestione dei soli acido ibotenico e muscimolo sintetici, nonostante determini la stragrande maggioranza dei sintomi solitamente riportati per A. muscaria, non ne induce la totalità (Festi, Bianchi 1991). Ciò indica che altri composti concorrono a causare l’ampio ventaglio di effetti causati dai funghi. Tra questi uno dei principali è il muscazone: psicoattivo e chimicamente simile ad acido ibotenico e muscimolo, ma farmacologicamente più blando. Inattiva invece poiché presente in quantità troppo basse, ma doverosa di menzione, è la muscarina, una potente tossina che fu per la prima volta estratta da A. muscaria nel 1869 (Michelot, Howell 2003).

È interessante accennare anche a uno studio degli anni ’50, il quale ha registrato la presenza, in un esemplare di A. muscaria, di bufotenina (5-HO-DMT), sostanza triptamminica chimicamente molto simile a dimetiltriptammina (N,N-DMT) e psilocina (4-HO-DMT) (Wieland et al. 1953). Questo ritrovamento non si è mai ripetuto in studi successivi più ampi (Catafolmo, Eugster 1970), nonostante bufotenina e altri composti simili occorrano in altre specie del genere Amanita, come A. citrina (T Stiji 1979) e A. porphyria (Tyler, Gröger 1974). Peraltro, è bene precisare che A. muscaria e A. pantherina, nonostante siano funghi allucinogeni, non hanno nulla a che vedere con i ben più conosciuti cosiddetti “funghi magici” psilocibinici: questi ultimi contengono psilocibina (4-PO-DMT) e psilocina, e sono classificati come psichedelici.

In ogni caso, è il muscimolo ad essere il principale responsabile della maggior parte degli effetti allucinogeni e sedativi di A. muscaria e A. pantherina. L’acido ibotenico è invece un agente neurotossico che, una volta ingerito e prima di essere convertito in muscimolo tramite digestione, agisce da energizzante e causa prevalentemente stati confusionali di ansia e agitazione (Michelot, Howell 2003; Tsujikawa et al. 2006). Ciò esplica una bizzarra usanza collegata all’uso rituale di A. muscaria presso alcune tribù siberiane, quella di bere l’urina dello sciamano (Wasson, Wasson 1957). L’officiante infatti ingeriva una massiccia dose di funghi freschi, per guidare poi il rito grazie allo stato di trance molto intensa dovuto agli effetti combinati di muscimolo e acido ibotenico. Il corpo dello sciamano fungeva così da convertitore e l’urina successivamente distribuita alla tribù conteneva in quantità importanti esclusivamente muscimolo, l’agente allucinogeno vero e proprio. Ciò è comprovato dal fatto che circa un terzo del muscimolo assunto viene escreto nelle urine (Pichini 2008) e da altri studi tossicologici a riguardo (Waser 1979; Eugster 1979; Stříbrný, Sokol, Merová et al. 2012).

La farmacologia di A. muscaria e A. pantherina è dipendente dal dosaggio, e, generalmente, gli effetti insorgono tra mezz’ora e 2 ore dopo l’ingestione (Michelot, Howell 2003). Questi includono stordimento, vertigini, nausea che talvolta porta al vomito, perdita di equilibrio psicomotorio (simile a quella indotta dall’alcol), stanchezza che può sfociare nel sonno. Successivamente, possono verificarsi stati di eccitazione psicomotoria, ansia, euforia, amnesia retrograda (Davis, Williams 1999; Michelot, Howell 2003), e anche stati confusionali, distorsioni visive e/o uditive e/o della percezione temporale, allucinazioni a occhi chiusi e/o aperti, caduta in stati particolari di coscienza (e.g trance). Sembra che il consumo di marijuana abbia un effetto catalizzatore e/o amplificatore degli effetti psicotropi. Nella maggior parte dei casi i sintomi scompaiono spontaneamente nel giro di 12/24 ore, e non si riscontrano danni fisiologici importanti né permanenti. Se l’intossicazione è particolarmente grave possono verificarsi convulsioni e coma; la morte è estremamente rara (Vendramin, Brvar 2014; Michelot, Howell 2003).

Il quadro tossicologico tuttavia, oltre che variegato, è anche particolarmente imprevedibile. Ciò dipende dal fatto che, innanzitutto, i quantitativi di acido ibotenico e muscimolo presenti nei funghi sono variabili in modo a dir poco strabiliante. La concentrazione difatti dipende dalla stagione, dall’area geografica, dallo stadio di maturazione (Benjamin 1992). Questo potrebbe spiegare perché talvolta all’assunzione di A. muscaria non seguono effetti sensibili: la quantità di muscimolo e acido ibotenico è troppo bassa, al di sotto della soglia attiva. In ogni caso, anche assumendo parità delle precedenti variabili, dosaggi simili possono causare effetti molto diversi tra individuo e individuo (Benjamin 1992). La sintomatologia è fortemente influenzata dal contesto socio-culturale in cui avviene l’assunzione e dalle caratteristiche psicologiche e fisiologiche (e.g peso, metabolismo) del soggetto (Rosenbohm 1995). Anche l’intenzionalità (se l’ingestione è accidentale o meno) gioca un ruolo essenziale, così come l’autosuggestione; quest’ultima è specialmente rilevante in contesti rituali (Waser 1967; Festi 1985).

Considerando che A. muscaria è ad oggi classificata come “Smart Drug” (Pichini 2008), a scopo di harm reduction (riduzione del danno) si evidenzia che prima di consumare funghi raccolti in natura è sempre assolutamente necessario farli controllare da un micologo professionista e verificato (e.g. Ispettorato Micologico ASL) per accertarsi che questi non siano specie velenose e/o mortali. Inoltre, le regole del “safe tripping” tradizionalmente associate a un uso consapevole di più celebri sostanze psicotrope (Turner 1994) non solo valgono anche per A. muscaria e A. pantherina, ma diventano imprescindibili a causa dell’incredibile variabilità e imprevedibilità dei loro effetti. “Set” e “setting” – usando le felici definizioni coniate dal padre del movimento hippie Timothy Leary per definire rispettivamente stato emotivo (mindset) dell’individuo e contesto sociale in cui avviene il trip – così come conoscenza e rispetto della sostanza, cautela e una seria attitudine all’esperienza rivestono più che mai un’importanza cruciale.

Da un punto di vista antropologico – o ancor meglio etnomicologico, per rendere onore al grande R. Wasson il cui lavoro si è già citato in precedenza – fonti attendibili riportano che le tribù Ostyak e Vogul della Siberia occidentale, e le tribù Kamchadal, Koryak, Chukchi della Siberia orientale, ancor’oggi utilizzino A. muscaria a scopo rituale in contesti sciamanici (Michelot, Howell 2003). Alcuni ipotizzano che il fungo fosse utilizzato per scatenare la leggendaria frenesia guerresca dei Berserker e degli Ulfedhnar, antichi guerrieri del folklore norreno che si sarebbero lanciati in battaglia vestiti di sole pelli animali, e che in preda al furore sarebbero stati incapaci di discernere tra amici e nemici (Feeney 2013). Ancora R. Wasson, infine, riteneva che il Soma della tradizione vedica, il famigerato Cibo degli Dèi, consistesse proprio di A. muscaria (Wasson 1968).

Farkas ha fatto una bella sintesi, di questi funghi si potrebbe raccontare molto di più. In altri articoli di questo blog ho espresso le mie riserve sull’uso del termine “allucinogeno” riferito ai funghi, ma è un’espressione di uso comune anche in ambito scientifico e quindi soprassiedo pur non cambiando idea. Correttamente Farkas distingue tra funghi psichedelici, il genere psilocybe, e i delirogeni, i funghi isossazolici a cui appartengono le Amanite, ma alcuni autori li descrivono invece come sostanze “inebrianti”. È opinione di molti che queste diverse definizioni possano essere adatte a seconda delle quantità assunte e soprattutto della risposta individuale, spesso molto diversa da un soggetto all’altro. Qui ci vengono in aiuto i racconti dei FÆW Brothers.

Inizia a raccontarci la sua storia Einar – che ringrazio in modo particolare perché è lui il mio contatto diretto con questo speciale gruppo di psiconauti!

L’esperienza che ci raccontano inizia verso le ore 13, hanno a disposizione complessivamente circa 35 grammi di Amanita essiccata.

La storia del viaggio di Einar

Prima di iniziare con il racconto riguardo alla mia prima esperienza con l’Amanita muscaria, è bene fare una precisazione: i dosaggi, più che per qualsiasi altra sostanza allucinogena, sono strettamente soggettivi e variano da individuo a individuo, sia in base al peso, sia in base alla propria “sensibilità”. Così come la dose anche gli effetti sono variabili, con un range che va dalla più completa immobilità fino all’estasi delirogena.

La curiosità verso questo fungo è stata fortemente amplificata dal nostro interesse riguardo la cultura norrena e il relativo sciamanesimo. Questa riverenza ci ha portato, nei mesi precedenti, a leggere una miriade di articoli scientifici, libri, documenti e ricerche a suo riguardo e, dopo averne constatato la sua relativa non tossicità, abbiamo deciso finalmente di provarlo. L’Amanita muscaria esercita tutt’oggi un grande fascino su di noi, tant’è che l’abbiamo resa un elemento portante de “Le Cronache di Dhînn”, il nostro romanzo fantasy parodistico che ha come temi l’importanza della spontaneità e la critica al materialismo nella società contemporanea. All’interno di esso il protagonista, ovverosia Dhînn, assume diverse volte il Fungo in cerca di consapevolezza, ma anche di furor bellico.

E così, dopo aver raccolto degli esemplari nei boschi e averne ordinati altri dalla Lituania (trattandosi di una sostanza perfettamente legale), decidemmo di organizzare un “ritiro spirituale” di alcuni giorni a Borgio Verezzi, una stupenda località marittima ligure. Curiosamente, io arrivai il mattino dopo gli altri tre amici, e nel viaggio in treno mi venne inviata una foto, scattata da uno di loro la sera prima, che ritraeva una nuvola a forma di Amanita.

I primi due ad assumere la sostanza saremmo stati io e Farkas, decidendo di prendere all’incirca quattro grammi a testa, una dose definita solitamente come medio – bassa. Preparammo un infuso facendo bollire diverse cappelle – circa 8 grammi secchi, di cui ne bevemmo una parte equivalente a circa due grammi a testa – e mangiammo dei funghi secchi senza condimento, 2 grammi secchi a testa per arrivare ai 4 grammi programmati. Aprimmo il rituale con una formula a noi cara, la “Opening Ceremony” degli Heilung, una band che ci ha davvero cambiato il modo di vedere le cose, poi accendemmo incenso alla lavanda, cinque candele aromatiche, avviammo la playlist musicale e abbassammo le tapparelle.

 

Le nostre aspettative verso il Fungo erano alte, ma presto ci rendemmo conto che gli effetti previsti tardavano a salire: ci aspettavamo molto di più di un minimo stordimento e di leggere visual – linee e forme che si curvavano, ma non la classica “respirazione delle pareti”. Così circa 3 ore dopo l’assunzione, spinti dalla curiosità e non sperimentando effetti negativi, alzammo la dose assumendo altri due grammi a testa. Poi, volendo rispettare la tradizione sciamanica del Nord Europa, compimmo un forte gesto “simbolico”. È noto che la maggior parte del muscimolo viene espulso tramite le urine, ed è altrettanto noto che in alcune tribù si usi berle come metodo di assunzione dell’Amanita. E così, consci del disgusto ma determinati ad andare fino in fondo, bevemmo anche noi.

Da lì le cose per me cambiarono: poco dopo aver ingerito il liquido, mangiammo altri quattro grammi di fungo a testa, arrivando così a una dose alta, benché diluita nell’arco di un intero pomeriggio. Con il senno di poi, e con le mie successive esperienze in solitaria, capimmo che la “chiave” è assumerne molta in una sola dose, cosa che non avevamo fatto per una sorta di timore reverenziale misto alla paura di bad trip. Tornando alla narrazione, io e Farkas ci sdraiammo sul letto e iniziammo a provare freddo e nausea, così ci mettemmo sotto le coperte. A un tratto, Farkas si alzò e vomitò in un secchiello, per poi dirmi “Tu resisti, non devi sboccare!”. Ed egli così divenne una sorta di sitter aggiuntivo e inaspettato per la serata. Infatti, gli effetti veri mi dovevano ancora salire.

Ci spostammo in salotto e nel frattempo Aleinn, che avrebbe dovuto assumere Amanita il giorno successivo, decise di anticipare e si mangiò tutto d’un fiato circa otto grammi di fungo secco, bevendo anche un po’ dell’infuso. Mentre lui faceva ciò, io e Farkas consumammo altre cappelle, perdendo effettivamente il conto dei grammi.

Dopo circa mezz’ora, iniziai a percepire il mio corpo come se fosse distaccato dalla realtà che stavo vivendo: osservavo le azioni degli altri passivamente, riuscendo però a ragionare lucidamente. Chiudendo gli occhi, invece, forme fluorescenti e lampeggianti attraversavano il mio campo visivo. Un’altra mezz’ora più tardi iniziarono a presentarsi anche visual a occhi aperti, così come la deformazione degli oggetti e l’alterazione dei colori. Mentre a me stava accadendo tutto questo, ad Aleinn l’effetto tardava a salire, presentando solo una forte nausea. Decisi quindi di fumare insieme a lui mezzo purino di cannabis, cercando in questo modo di aumentare l’efficacia della sostanza. Amanita ed erba è una combo di sostanze che viene ampiamente utilizzata e che non produce alcun problema. In tutto ciò, gli effetti del fungo sul mio corpo continuavano ad aumentare, e vennero ovviamente amplificati dalla Cannabis.

Dopo aver fumato, ad Aleinn scattò la molla e si perse in un trip adrenalinico, che racconterà lui stesso nel suo resoconto, mentre io ero come in trance, quasi paralizzato sul divano, inondato da un senso di pace interiore mai provato prima e perso nella musica e nell’osservare i movimenti e i discorsi di Aleinn. Tra le visioni, ricordo molto chiaramente degli esseri astratti e geometrici; un deserto arancione, con cielo azzurro e con dei pali bianchi che si stagliavano all’orizzonte; la mia persona in un cilindro cavo, circondato da colonne doriche; flash di concerti, rievocazioni storiche e di scene di caccia, benché io non abbia mai intrapreso questa attività.

Gli effetti svanirono circa quattro ore dopo, e pian piano ci rendemmo conto di ciò che era accaduto. Il giorno successivo andammo tutti e quattro in montagna e, grazie a diversi momenti incredibili vissuti in quei luoghi, si creò tra di noi un legame indissolubile, ancor più forte di quello che c’era prima. E tutto ciò senza l’Amanita muscaria non sarebbe stato possibile. Durante questa passeggiata ci siamo arrampicati su un cartellone pubblicitario alto una decina di metri per godere del panorama e urlare al forte vento, soltanto quando siamo scesi ci siamo resi conto del pericolo corso.

Nella foto qui sotto vedi la struttura in metallo verde del cartellone su cui ci siamo arrampicati.

Nei mesi successivi utilizzai il Fungo altre due volte: la prima per interiorizzare la separazione dalla mia ragazza, la seconda (usando una dose più alta e mangiando anche Amanita pantherina) per sfidare me stesso. Alla fine di entrambe le esperienze mi ritenni soddisfatto pienamente.

Per concludere, posso dire che l’Amanita muscaria è sicuramente un fungo particolare, che produce effetti variabili, ma è senza dubbio affascinante, ricco di utilizzi e possibilità di esplorazione psiconautica. Consigliato al 100%.

La storia del viaggio di Aleinn

Lo scopo di Aleinn per la prima sera sarebbe stato il sitting di Farkas ed Einar, che avevano continuato ad assumere Amanita muscaria lungo tutto l’arco della giornata. Ma la notte era ormai calata, ed entrambi tardavano ad avere effetti intensi, quindi perché non assumere 5 cappelle tutte insieme? 8 grammi secchi in un colpo. Massì dai, perché no. Una sorta di buon proposito insomma, come quelli per il nuovo anno. Solo che quelli del nuovo anno al massimo falliscono miseramente dopo qualche mese, ma non ti catapultano di certo in uno spazio dodecadimensionale dopo averti trasformato in un formichiere… o almeno, ad Aleinn non era mai capitato!

Dopo circa 40 minuti dall’ingestione iniziarono a lampeggiare i primi bagliori di nausea, e si decise di assumere dei cannabinoidi, insomma, di fumare un gran bel joint per intenderci. Ah, sweet Mary Jane…! Finalmente, osservando placido e assorto una luce calda e fioca nel tinello, comparvero i primi effetti visivi. Era come se amanita e cannabinoidi avessero interagito sinergicamente in un effetto entourage, potenziandosi vicendevolmente, era come se lo Spirito del Fungo e Mary Jane stessero facendo l’amore. A quel punto, per un tempo fortunatamente piuttosto breve, giusto 3 o 4 minuti, la nausea si intensificò notevolmente. Mentre Farkas non potè far a meno di vomitare, Einar e Aleinn rimasero spiaggiati, catatonici sul divano.

Di seguito si riporta l’esperienza psiconautica, il trip vero e proprio di Aleinn.

Improvvisamente, i bordi di ogni cosa nel mio campo visivo presero a storpiarsi lievemente, e comparvero ovunque tantissimi vermetti colorati. La stanza era ancora lì, andava a costituire lo sfondo della mia visione, mentre i vermicelli, innervando lo spazio con movimenti sinuosi, velocissimi e aleatori, intessevano una sorta di patina, sovraimpressa alla realtà e di incredibile dinamismo, che velava ogni cosa.

Neanche un minuto e alzandomi in piedi mi diressi verso il tavolo, poggiai le mani su di esso e iniziai a saltare altissimo per cercare di portare i piedi al soffitto in una perfetta linea verticale. Da questo momento in poi, e per l’intera durata del trip, tenni sempre gli occhi chiusi. Di colpo un’energia veramente inverosimile mi pervase: stavo letteralmente esplodendo dalle good vibes e da un senso un senso di onnipotenza totalizzante. Questa sensazione si protrasse per circa 5 minuti da quanto ricordo, tempo durante il quale presi a correre da una parte all’altra della stanza con un’accelerazione non indifferente. Urtavo cose, facevo un casino assurdo – tieni a mente che avevo sempre gli occhi chiusi! – e soprattutto facevo impazzire il povero Farkas che, ormai ripresosi dalla nausea, cercava di starmi dietro e minimizzare i danni. 

Di punto in bianco mi diressi nel corridoio per prendere un rotolo di scottex dall’armadio. Mi sentivo – ero? – un distinto medico ricercatore. Nonostante avessi gli occhi chiusi, potevo muovermi agilmente. La casa, che conosco molto bene, era in quel momento mappata nella mia mente con una chiarezza indicibile, la vedevo letteralmente impressa sul retro delle mie palpebre, e in quel momento aveva assunto parvenze di una modernità futuristica estrema. Preso il rotolo lo appoggiai contro la parete del muro ed esclamai <<Versavia, portami lo scottex sul piano in cucina!>>. Ero convinto vi fosse un’intelligenza artificiale, mia assistente, incorporata nella casa (simile a Jarvis di Iron Man per intenderci, non un robot disabile alla C-3PO). L’avevo vista porre un braccio metallico fuori dalla parete in modo da portare il rotolo in cucina, trasferendolo attraverso appositi condotti interni ai muri. Inutile precisare che il povero rotolo di scottex, caduto per terra, venne portato in cucina dal valoroso Farkas, che da quel momento assunse involontariamente le vesti di sitter.

Durante tutto ciò, e per tutto il resto dell’esperienza, Einar rimase immobile accasciato sul divano; purtroppo, nel mio moto confuso lo urtai spesso, di tanto in tanto anche abbastanza violentemente. 

Dopo il dialogo con la buona Versavia cambiai veste emotiva e divenni una rockstar. Suggestionato dalla musica di sottofondo, che variava dalla psichedelia anni ‘60 al prog anni ’70 e sfociava occasionalmente in brani più soul e funky,  mi immedesimai in un sacco di musicisti: chitarristi, cantanti, bassisti e batteristi – paradossalmente (e davvero è assurdo considerando che sono un pianista) nessun tastierista. Le immedesimazioni si protrassero a lungo e ci furono svariati momenti non-sense durante i quali mi misi a imitare politici e personaggi di Topolino.

Dopo circa un’ora e mezza rivissi un nuovo picco energizzante: durante i “concerti” l’energia e le sensazioni fisiche erano veramente forti, talmente forti da farmi tremare dal pathos negli assoli di chitarra. Ero veramente sul palco, ero totalmente dentro la musica. Non immaginavo che le sensazioni potessero divenire ancora più intense, quand’ecco che giunse un altro picco. A quel punto, ancor più di ogni volta prima, mi sentii veramente come se stessi per esplodere. Sentivo il bisogno di dilatarmi a tutto quanto e di rendere i miei confini non finiti. I contorni delle cose infatti iniziavano a svanire, le demarcazioni concettuali presenti tra ogni oggetto e ogni cosa – ciò che in primis determina l’esistenza di quegli oggetti come enti separati – stavano progressivamente scomparendo. Pian piano stavo dissolvendomi e perdendomi tra le cose. Soggetto e oggetto non erano più separati e distinti ma coesistevano in un tutt’uno, come in una indistinta nebulosa. Non esistevo più come individualità fisicamente circoscritta, bensì come una aerea sostanza che pervadeva ogni cosa. Questo effetto di annullamento dei confini tra le cose aveva avuto origine in me, e lo sentivo propagarsi nel mondo circostante come una bolla, inglobando ogni cosa.

Proprio a quel punto cominciai a tremare inverosimilmente, ma con una scioltezza da ballerino, e urlai <<SOOOONO UN RAZZO A IDROGENOOOO!!!!!!>>. Questa sensazione di olismo interiore mi portò ad avvinghiare Farkas nell’incavo delle ascelle e innalzarlo davanti a me: portandolo in alto cominciai a percepire (attraverso i miei occhi chiusi) una luce solare crescente provenire dal suo viso come se avessi tra le braccia il dio Horus.

Senza alcun nesso logico mi ritrovai a quattro zampe per terra a interpretare un nuovo personaggio: di fronte a me vedevo una lunga protuberanza tutta gobbata (come la tuta dell’omino Michelin), in fondo a questa spuntavano esattamente 3 peli più lunghi; questo fu il momento in cui mi sentii – ero? – un formichiere. Durò poco ma immagino che in quei pochi istanti provai quello che secondo me potrebbe provare un formichiere vivendo. Non mi è parso così male, effettivamente.

A seguire i ricordi cominciano a essere un po’ più confusi. In questo breve tempo realizzai diverse cose relative alla mia infanzia, alcune davvero molto private. Nonostante ciò non mi feci problemi e le esposi con una nonchalance strabiliante: fu solo grazie alle buone reazioni di Farkas, Einar e Willard che non mi rinchiusi in me stesso. Durante il trip Farkas aveva assunto il ruolo di sitter in modo quasi pascoliano: infatti incarnava perfettamente il ruolo del fanciullino, e ai nostri occhi risultava essere un contenitore vuoto, positivo e ricolmo  di curiosità. Io ero quello più “attivo” fisicamente e verbalmente, e lui era riuscito perfettamente a entrare in connessione con me con innocentissime domande e annotando il mio flusso di pensieri. Ed è a queste annotazioni che mi aggrappo per esporre l’ultima parte più confusa e curiosa dell’esperienza.

Mi ritrovai sdraiato a terra nell’incavo tra muro e divano, con il fondoschiena contro il muro le gambe alzate e appoggiate, incrociate, alla parete; il mio busto era così incastrato nell’incavo suddetto e la mia testa toccava il divano nella sua parte basale laterale, ai piedi del bracciolo destro. Stranamente, però, mi sentivo come se fossi seduto a terra con la schiena appoggiata al lato del divano, ruotato quindi di 90° rispetto alla posizione reale in cui mi trovavo. Da quando era iniziato il trip ancora non avevo aperto gli occhi. A un certo punto calò il silenzio e sentii i movimenti di Einar sul divano. Nonostante avessi gli occhi chiusi mi sembrava veramente di vedere cosa stava succedendo, e quindi, per verificare l’esattezza delle mie percezioni, alzai una mano e la mossi nel punto preciso in cui pensavo si trovasse la mano di Einar, che puntualmente intercettai con precisione sbalorditiva.

Sdraiato lì ricomparve la sensazione di dissolvenza dei confini del mio corpo, che i miei bordi fisici stessero progressivamente svanendo diffondendosi nello spazio circostante. Mi sentivo come in uno spazio cartesiano 3D, dove io ero l’origine degli assi e vedevo irraggiarsi da me linee di tutti i colori e dalle tonalità piuttosto spente, occupanti l’interezza dello spazio. Propagandosi, i raggi di luce erano sempre più lontani da me e, naturalmente, la loro larghezza aumentava sempre più. La situazione era inoltre caratterizzata da un certo dinamismo: sentivo infatti che stavo muovendomi nella direzione opposta a quella di propagazione dei raggi colorati; eppure, quando tentavo di voltarmi per guardare indietro, non ero in grado di farlo, come se stessi andando a velocità elevatissime, diciamo vicine a quella della luce. Nonostante ciò, la percezione di movimento era veramente leggera, come se non vi fossero attriti.

Tutto sfociò gradualmente in uno scenario simil-desertico: il cielo era di un azzurro purissimo e la terra era di un colore blando, estremamente artificiale e uniforme, tra il giallo e l’arancione. Tutto aveva una parvenza virtuale, come fossi stato catapultato dentro un videogioco: sentivo infatti di esistere come su di uno schermo, il quale è sì bidimensionale, ma può rappresentare realtà tridimensionali. Percepivo il mio corpo come costituito da tre linee di un azzurro molto più scuro di quello del cielo, abbastanza spesse (come se fossero in grassetto). Due delle linee si incrociavano in una χ che era attraversata nel centro dalla terza. Anche in questo scenario i movimenti erano molto studiati e leggiadri, non vi era presenza di attrito ma allo stesso tempo vi era un controllo inverosimile.

Lo scenario si diffuse nuovamente a uno nuovo attraverso uno zoom interno alla linea. Mi ritrovai a vedere infinite lineette tanto infinitesimali da tendere a un punto, ma con delle piccole slabbrature superiormente e inferiormente: interpretai questo posto come lo spazio degli eventi. Passavo da lineetta a lineetta successiva , solo che poi sentivo delle sensazioni emotive di dejavù o fisiche che mi portavano a pensare al fatto che fosse già avvenuta quella cosa. Erano semplici lineette ma per me sembravano avere un significato profondissimo, parevano essere più importanti addirittura dell’avvenimento. Mi ritrovai a circolare all’interno di una sorta di loop: andavo avanti nel percorrere le lineette, ma prendevo sempre le stesse strade nello spazio degli eventi e, macroscopicamente, la linea di universo (cioè la linea unione di quelle infinitesime) aveva un andamento periodico, era ciò a causare i dejavù. Dopo qualche momento, durante il quale stavo impazzendo vocalmente a cercare di descrivere ogni cosa data la velocità con la quale avvenivano questi fatti, venni fortunatamente distratto da Farkas per uscire dal loop. 

Fu immediato il passaggio da quelle visioni a un altro spazio, ove l’unico colore era l’azzurro, declinato però in mille diverse sfumature. L’atmosfera era ben rarefatta, con miriadi di materassi fluttuanti intorno a me. Erano di un evanescente e tenue azzurrino, trasparenti come fantasmi. Guardando un materasso infatti era possibile intravederne tutti i contorni (anche quelli che, fosse esso stato opaco, non sarebbero stati visibili), oltre che tutti i materassi successivi, la cui progressiva sovrapposizione determinava una crescente intensità di colore vertente verso un azzurro sempre più scuro e denso. Ve n’erano così tanti che sembravano infiniti, e si perdevano all’orizzonte in ogni direzione. Su ogni materasso v’era una persona – compreso il sottoscritto – e accanto a ognuno una lampada, la cui abat jour era azzurra opaca e la cui lampadina spandeva una luce tra l’azzurro e il giallino. Su ogni abat jour vi erano diversi semini, sulla mia solo uno. 

A questo punto, transitando nello spazio descritto sopra, dopo una iniziale estasi, caddi in confusione rischiando di rientrare in un loop. Così, io ed Einar ci alzammo, andammo con Farkas nella camera da letto e ci sdraiammo. A un certo punto, discorsando tra tutti e tre, io ed Einar ci ritrovammo insieme in una sorta di estensione spaziale della realtà quotidiana. Era come se noi fossimo dietro le quinte di un teatro e vedessimo le cose dall’altra parte – gli avvenimenti del mondo – come attraverso una patina. Avevo la sensazione che stessimo guardando l’esterno – la “vera” realtà – da dentro un tombino. Dopo qualche minuto, pressoché simultaneamente rinvenimmo tutti, così ci dirigemmo in cucina per mangiare qualcosa, persi a contemplare l’assurdo.

Durante tutta l’esperienza mi è parso di mantenere il contatto con la realtà. Ad eccezione di alcuni momenti nella parte conclusiva dell’esperienza, ho sempre avuto consapevolezza di stare viaggiando e di ciò che stava accadendo. Globalmente, la durata è stata di circa 4 ore; la fase finale del trip, quella più profonda e contemplativa, è stata la più lunga e ha impegnato la frazione predominante del tempo totale complessivo.

Considerazioni finali
È quasi come se l’effetto dell’amanita avesse agito da totale inibitore dei filtri sociali. Tutto è accaduto perché i picchi energizzanti mi hanno permesso di lasciarmi completamente andare al flusso degli eventi, come se mi fossi svegliato da un intorpidimento profondo. Ho sempre provato difficoltà a gestire il mio flusso di pensieri, anche durante lo studio, e ho sempre creduto che ciò fosse legato alla mia tendenza a pensare a molte – troppe direi – cose contemporaneamente. Durante l’esperienza però, nonostante pensassi a moltissime più cose contemporaneamente rispetto alla quotidianità, tutto era immerso in una razionalità e calma implacabili. Ogni pensiero strano non mi meravigliava in modo né ansioso né energizzante; al contrario, era tutto molto metodico e internamente strutturato. Ho così realizzato che il mio problema nella quotidianità non sia il fatto che io pensi a troppe cose allo stesso tempo, quanto il contrario, cioè l’auto-imposizione a concentrarmi inutilmente su cose precise una a una (solitamente per paura di scordarle o di non averle comprese davvero). Durante le 4 ore del trip non c’erano questi problemi: tutto era chiaro.

Ho avuto l’impressione che i trip siano causati da delle sorte di “aperture” di diversi percorsi assonici per l’impulso nervoso, percorsi nuovi rispetto a quelli convenzionali legati a quotidianità, movimenti e pensieri soliti. Questo poiché il mio modo di ragionare sotto effetto dell’Amanita era assolutamente nuovo e “altro”. Ad esempio, avevo l’impressione di riuscire a comprendere concetti matematici di geometria differenziale e topologia che non conoscevo e che non avevo mai studiato. Nonostante riuscissi ad applicarli “concretamente” durante il trip, al di fuori restavano argomenti piuttosto oscuri. Inoltre, vedevo cose matematiche dalla stranezza ipnotizzante e che non saprei descrivere, di una topologia astratta che non conosco affatto. Questa è una sensazione simile a quella che si prova talvolta sognando, quando si fanno cose che non si era convinti di poter fare. È come se l’esperienza mi avesse dato una botta di sicurezza emotiva e fisiologica incredibile. Ogni minimo messaggio subliminale e informazione memorizzata a livello visivo negli anni precedenti era stata rielaborata all’occorrenza: tutto era comprensibile in quel momento. Non vi erano insicurezze, ogni cosa aveva il suo posto dentro di me. Non venivano posti neanche i dubbi relativi al se sapessi davvero le cose o meno.

Durante quegli attimi realizzai diverse cose riguardanti me stesso. Ero partito con il barlume di idea che il fungo mi avrebbe indotto a capire e risolvere cose di me, quindi il lasciarsi andare viene giustificato come una cosa potentissima.

L’espressione di “sentirsi dentro la musica” è stata un’idea inizialmente portata alla luce dal nostro caro Willard, idea che non solo ha tremendamente senso, ma che è anche incredibilmente evocativa e che condivido pienamente. Lui l’ha sperimentata per la prima volta sotto effetto di semplici cannabinoidi e, da allora, ce ne accorgiamo sempre di più. Quando si mettono le cuffie, infatti, si ha la sensazione che la musica non provenga dagli auricolari, bensì da ogni cosa che ci circonda, e che sia intrinseca in noi e nel vivere tutto.

Quando intercettai la mano di Einar c’era una strana consapevolezza geometrica, degli angoli in particolare, nella mia visione della situazione. Ho interpretato questo fatto come scaturito da una pacifica attenzione a ogni particolare, attenzione causata principalmente da un netto miglioramento della percezione delle sensazioni esterne.

La predominanza dei colori spenti nelle visioni penso sia legato alla luce fioca e soffusa – molta contemplativa – dell’ambiente circostante.

A posteriori interpretammo i semini come le questioni non risolte, mentre le abat jour erano i sitter (il mio era Farkas). Naturalmente non ho certezze per poterlo affermare, sono solo pensieri, ma abbiamo pensato che quello spazio potesse essere una sorta di ritrovamento filosofico-metafisico di tutte le persone in viaggio con le loro questioni risolte o meno – questioni rappresentate dai semini. Mi sembra un modello interessante.

Infine, quando mi trovavo nello spazio dei materassi, avevo l’assurda convinzione di trovarmi in uno spazio dodecadimensionale. Ora non sarei in grado di spiegarlo, né sento il ricordo e la comprensione vivi in modo tale da poterli condividere. L’unica cosa che ricordo è che i materassi erano tutti apparentemente ordinati. Eppure, la curvatura dello spazio li rendeva stranamente casuali e la periodicità geometrica era quasi impercettibile. Può darsi, semplicemente, che lo spazio fosse 3D ma che la metrica, cioè le leggi regolanti le distanze e la struttura della geometria dello spazio, non fosse quella euclidea alla quale siamo abituati.

La storia del viaggio di Willard

[Accenditi, sintonizzati, e abbandonati]

Io sono Willard e devo premettere che non ho fatto uso di Amanita se non fumandola, dal momento che non mi sentivo spiritualmente pronto per affrontare questo viaggio. Gli effetti dell’Amanita fumata sono stati davvero lievi, stordimento, confusione mentale, torpore a livello corporeo, ho dormito per una mezz’ora, dopo di che ero quasi del tutto rigenerato. Dato che ero il componente del gruppo che non avrebbe fatto uso del fungo, ma che avrebbe comunque partecipato al rituale, mi è stato come affidato il compito di sittare gli altri membri del gruppo essendo il più lucido dei quattro, però l’utilizzo di cannabis mi ha deviato dalla retta via e ammetto la mia responsabilità. Il risultato fu che non ebbi le forze di fare da sitter agli altri, ma allo stesso tempo ho potuto godere un’esperienza magica sia a livello personale sia a livello relazionale con gli altri, perché fumando erba è stato come cambiare la frequenza del mio cervello e potermi connettere con gli altri che erano con me. Io non ho vissuto quello che hanno vissuto loro, questo è più che chiaro, tuttavia respiravo aria diversa, vedevo le cose e i fatti con una prospettiva diversa, mi muovevo, quando riuscivo a muovermi, con movenze diverse, e questo mi piaceva molto.

Il ruolo da sitter è stato poi ingaggiato in maniera magistrale da Farkas, il cui comportamento mi ha dato una serenità da non poter essere sopraffatto da alcun tipo di preoccupazione. Farkas è diventato il centro di controllo, si è totalmente integrato al setting e ha fatto di sé una fonte di fiducia. Sembra quasi che il fungo l’abbia richiamato direttamente a questo ruolo, cosa che ho potuto constatare anch’io sulla mia persona in un successivo ritiro spirituale.

Sebbene non abbia assunto nel modo più efficace il principio attivo del fungo, ritengo questa esperienza una delle più importanti, edificanti e sbalorditive della mia vita. Non voglio peccare di superbia, ma grazie all’uso di cannabis, agli amici con cui passavo il tempo e l’ambiente in cui mi sono crogiolato quei giorni nel paesello ligure, hanno dato una spinta notevole alla mia ricerca spirituale che ha rafforzato il mio legame con Farkas, instaurato una connessione diretta con Einar e creato un’amicizia particolare con Aleinn. Questo percorso è giunto infatti dopo poco più di un mese all’assunzione di psichedelici, ma questa è un’altra storia. Aver fatto parte di questa esperienza con Farkas, Einar e Aleinn mi ha permesso di sciogliere molti dilemmi sui miei dolori esistenziali e sull’uso di psichedelici.

Come ho potuto verificare dagli effetti avuti da Einar e Aleinn, l’uso di psichedelici è principalmente atto, anche se inconsapevolmente, a superare la paura debilitante della morte, dal momento che “breakkando” il nostro ego non esiste più e possiamo finalmente riconciliarci nel modo più amorevole con la morte. Il breakthrough è un esercizio che ci fa sorvolare i confini del piacere e del dolore, non esiste più quella distinzione che nella realtà ci appare così netta, pertanto in quella realtà la cosa più terribile potrebbe sembrarci molto affascinante e gradevole, come potrebbe esserlo la morte infatti. Ciò che varia in modo consistente durante un trip, cosa che potrebbe capitare anche sotto gli effetti dei cannabinoidi, è la consapevolezza, la mindfulness. La meditazione è la pratica più consigliata per amplificare questo concetto, ma gli psichedelici rappresentano la scorciatoia. Dentro di noi abbiamo dunque la capacità di espandere la nostra consapevolezza al di là del nostro ego, al di là di tutto quello che conosciamo, finché il nostro ego non si dissolve e diventiamo parte di qualcosa di più grande. Comprendere questo è davvero semplice quanto spiegarlo, il difficile sta nel mantenere questo stato mentale successivamente. Per raggiungere questo traguardo è molto importante regolare l’attività del cosiddetto default mode network (DMN), un insieme di parti del nostro cervello che sono adibite a plasmare il nostro ego e dove risiedono tutti i nostri pensieri sul passato e sul futuro. Perciò, praticando meditazione oppure assumendo psichedelici, è doveroso concentrarsi su noi stessi e sul momento presente, assopendo sempre più il funzionamento del DMN e annullando man mano il nostro ego.

Durante il soggiorno in Liguria ho potuto sperimentare la sensazione di sentirmi in pace con il mondo e di aver maturato uno sguardo euforico sul futuro, a livello spirituale mi sento molto cresciuto e ho avuto l’opportunità di crescere ancora in altre occasioni, sebbene io creda di aver scalato solo le pendici della montagna più alta del mondo. Ho potuto constatare nei giorni successivi un calo notevole dell’ansia, e ne ho avuto la prova appena tre giorni dopo quando sono incorso in un incidente stradale, sebbene fossi passeggero. Ne sono uscito illeso, sul momento non mi son fatto prendere dal panico e sono riuscito a mantenere il totale controllo, anche se man mano nei giorni a seguire realizzavo che la mia vita era stata messa a repentaglio, ma non ho avuto alcun tipo di disturbo psicologico ex post facto. Senza quello che è successo nel magico ritiro, le cose non sarebbero andate così, e questo rimane uno dei tanti esempi che potrei presentare.

Mettendo sempre da parte ogni tipo di superbia o di prepotenza, quella prima volta e anche nei successivi ritiri spirituali, credo di aver colto il segreto dell’universo, ma sono consapevole qui e ora di non aver alcuna valvola di sfogo per poterlo esprimere in modo trasparente, non avrei parole, suoni, o immagini, non sarebbero comunque sufficienti. Si tratta di un’intuizione totale, prima non lo sai, ora sì, non c’è un nesso logico in mezzo. Forse però c’è un concetto che potrebbe rendere abbastanza chiaramente cosa si provi in quelle situazioni – l’amore, ma non da considerarsi solo l’amore tra due amanti, ma un amore totalizzante, l’amore sessuale, l’amore fraterno, l’amore platonico, l’amore amicale, fino al sorriso incondizionato fatto a un passante. L’amore non ha a che fare solo con l’innamoramento, ma consiste nella comunione con gli altri. Quando riusciremo a renderci conto di come tutta la realtà sia intrisa di amore, forse saremo più consapevoli di noi stessi.

Bisogna assorbire ogni tipo di vibrazioni positive che si propagano nell’ambiente e allo stesso tempo sprigionarle a chi e cosa ci sta attorno. Il flusso di vibrazioni positive permette una maggiore connessione con le persone, con l’ambiente, con la natura. Si tratta di lasciar perdere ogni pregiudizio, ogni infima preoccupazione, e sorridere di più alla vita. Benché sembri una cosa banale, bisogna sforzarsi di sorridere di più perché alla fine siamo docili fibre dell’universo (prendendo in prestito l’espressione da Ungaretti), facciamo ovvero parte di qualcosa di più grande di noi di cui non possiamo neanche renderci conto, ma gustarci solamente la sensazione, perché alla fine la vita di cosa è fatta se non di emozioni?

Come già menzionato dall’egregio Einar, c’è poi il discorso inerente alla musica. Io riesco a provarlo già con gli effetti della cannabis ed è una sensazione unica, inebriante, percepibile in ogni cellula del corpo. La percezione della musica non è più quella di una trasmissione di onde sonore da una sorgente a un ricevente, noi da lucidi perciò siamo nella prospettiva del ricevente, mentre dopo aver assunto la sostanza diventiamo l’onda sonora che si propaga nello spazio, noi siamo la musica, e questo non può che essere meraviglioso. Mi è capitato anche con la poesia, a sentire recitare una poesia viene a mancare un’interpretazione che si pone ogni volta che si legge un testo letterario, ma l’idea è quella di essere proprio il poeta che scrive la poesia e pertanto di avere nella mente il significato originale, puro e assoluto di quello che si sta scrivendo, ma che in realtà stiamo leggendo o sentendo. Non staremo dunque a cercare di capire L’infinito di Leopardi, ma siamo perfettamente consapevoli di quello che ci sta dicendo. La questione della musica e delle attività accessorie durante un trip si rifà alla cura meticolosa del set e del setting, ovverosia l’umore e le aspettative con cui si affronta il trip e l’ambiente in cui esso avviene. La sostanza è l’input per prendere il volo, ma raffinare il set e setting potrebbe portare a uno stato di perfezione spirituale, cosa che, devo ammetterlo, ho potuto raggiungere al primo ritiro. Finora è stato il caso dei migliori set e setting raggiunti, rimane dunque come metro di misura e spero che un giorno insieme a Farkas, Einar e Aleinn si possa superare.

Cosa ci rimane da fare ora molto a posteriori di questa esperienza è non dimenticare, ma riformulare ogni volta la nostra esperienza a Verezzi per avere, ogni volta che abbiamo bisogno, nuovi strumenti di consapevolezza per affrontare la realtà. La disposizione mentale è quella di abbandonarci coscientemente verso ogni cosa che affrontiamo giorno dopo giorno, non dobbiamo avere paura di diventare preda dell’irrazionalità perché il nostro organismo è progettato per aggiustarsi, riallinearsi e guarire da solo, se gli vengono dati tempo, spazio e circostanze favorevoli. Si può fare, con l’amore si può fronteggiare tutto perché con un semplice sorriso potremmo sconfiggere il peggiore dei nostri nemici.

Pace e amore. 

La storia del viaggio di Farkas

 

Remember that We Are All Brothers

All people, beasts, tree and stone and wind

We all descended from the One Great Being

That was always there

Before people lived and named it

Before the first seed sprouted

WE ARE ALL ONE

Pronunciate queste parole, aprimmo agli occhi e rompemmo il cerchio di mani che avevamo composto per il Rituale. Il giorno era giunto. Io ed Einar, finalmente, avremmo assunto il Fungo, noto con il nome di Rossocazzo presso l’antico popolo di Dhînn, e con quello di Amanita muscaria presso noi uomini. Non nascondo che non poco i nostri animi eran trepidanti: è risaputo, infatti, che il Micete doni a ogni creatura l’opportunità di mettersi in contatto con il grande e antico Spirito del Fungo, l’entità immateriale che domina le percezioni extrasensoriali. Anche Aleinn e Willard, designati come sitter per l’esperienza in cui io ed Einar stavamo per imbarcarci, erano eccitati e ci supportavano con sguardi calorosi e fraterni. Dopo aver assunto il Fungo, in modalità e quantità che sono dettagliatamente descritte ne La Storia del Viaggio di Einar, ci mettemmo tranquilli. Era primo pomeriggio, e revisionando Le Cronache di Dhînn, il nostro romanzo, attendevamo il presentarsi dei primi effetti. Per accelerare la comparsa di questi ultimi, e per non aver niente nello stomaco nel caso si fosse presentata nausea, non avevo consumato che un frugale pasto nella mattinata. Per giunta, io ed Einar avevamo intenzione di non consumare nient’altro che Amanita – né cibo né acqua – per tutto il resto della giornata; proposito che effettivamente rispettammo.

A questo punto, prima di procedere con la narrazione, è giusto che si dia a Cesare ciò che è di Cesare, e che si rendano ad Aleinn, Einar e Willard i meriti che gli spettano. Infatti, nonostante sia indubbio che lo Spirito del Fungo, Mary Jane, bibanesi e copricuscini abbiano giocato un ruolo fondamentale, nulla di ciò che è successo sarebbe accaduto senza la magia e l’armonia che tutti insieme abbiamo creato.

Una indissolubile fratellanza è nata tra FÆW, e sento nel cuore che è destinata a durare.

Quando apparvero i primi effetti, era già qualche tempo che spasmodicamente scrutavo l’orizzonte in cerca di qualche distorsione visiva. Non dico che le visual mi delusero – mai oserei mancare di rispetto allo Spirito del Fungo lasciandomi andare in tali affermazioni – ma neanche erano mozzafiato. Si presentavano al limite del percepibile, come lievi ondulazioni che increspavano solamente gli oggetti molto lontani. Acceso da un discreto rush di energia, mi misi per qualche tempo a ballare la musica rituale degli Heilung, sforzandomi di concentrare l’attenzione, in modo da portarvi la mente, su tempi e luoghi lontani e ormai perduti. Pian piano, comunque, anche questi tenui effetti svanirono.

A posteriori, mi rendo conto che essi sono stati il picco della prima, e unica a quel punto, dose di Amanita che avevamo assunto.

Così decidemmo di ridosare, cosa che io ed Einar ripetemmo svariate svolte lungo l’arco della giornata. Con il passare delle ore, effetti simili ai precedenti diverse volte si presentarono e scomparvero, altalenando in ondate di intensità simile, ma lieve. Come atto simbolico e rituale io ed Einar trangugiammo la nostra urina, facendoci vicari di una tradizione sciamanica millenaria. Il sapore era a dir poco orribile, e, stranamente, persisteva nelle papille gustative anche quando ci si tappava il naso. Successivamente, con la sintomatologia intensa cui agognavamo che stentava a comparire, decidemmo di provare a fumare il Fungo rollandone alcuni pezzi sbriciolati con del tabacco. Di nuovo, il sapore era tutt’altro che piacevole, e gli effetti, se davvero degli effetti si presentarono, furono a malapena intelligibili.

A questo punto era calata la notte, e, amareggiati, discutevamo sul da farsi. Il giorno seguente Aleinn avrebbe dovuto assumere il Fungo, e noialtri fungere da sitter. Tuttavia, considerata la scarsa intensità degli effetti, Aleinn aveva intenzione di assumere un alto dosaggio quella sera stessa. Egli avrebbe affiancato me ed Einar nell’ingestione di quella che doveva essere la nostra ultima porzione, essendo la nostra scorta di Amanita ormai quasi finita. Solitamente, prioritizzando la mia parte più razionale, avrei dissentito. Infatti, se tutti e tre ci fossimo ritrovati a trippare intensamente, con Willard che poco prima aveva mangiato un edible di Marijuana di più che modeste proporzioni, ci saremmo potuti trovare in guai seri. Come anche altre volte in quei giorni però, scelsi di abbandonare la mia solita razionalità e seguii invece l’istinto dei miei compagni. Ci dividemmo tutta l’Amanita rimasta, e Aleinn assunse 5 cappelle in una botta sola. Tutto andò esattamente come doveva andare.

Prima di procedere con l’ultima parte della narrazione voglio esplicitare due sensazioni che fortissime mi hanno pervaso quel giorno e la sera precedente. Sensazioni che, come diverrà chiaro al lettore col proseguire del racconto, si sono rivelate entrambe in un certo qual modo vere, in maniera alquanto strabiliante. La sera precedente, mentre Willard era accasciato sul divano tramortito da una botta di erba di proporzioni cosmiche, avevo preso a muovere le braccia in modo ritmico, seguendo la musica e proiettando sul suo volto le ombre delle mie mani. Ipnotizzato dai giochi di luce, Willard si godeva il momento ancor di più. Ero stato preso da una volontà strana di guidare la sua esperienza e di amplificare le sue sensazioni, che subito ho riconosciuto come, in un certo senso, sciamaniche. La seconda sensazione che desidero menzionare invece è il presentimento, che mi aveva accompagnato per tutta la giornata corrente, era che gli effetti del Fungo a me non si sarebbero presentati e che, in breve, quel giorno io non avrei trippato.

Stavamo sedendo sul divano, stregati dalle immagini di un video di “trippy visuals” su youtube, quando una nausea intensa mi assalì. In parte essa era scatenata dai visual a occhi chiusi, che erano moderati ma comunque spiacevoli: la sensazione visiva era quella di stare precipitando a velocità supersoniche nel punto focale della mia visione, o, in altre parole, ovunque guardassi. Provai a combattere la sensazione muovendo continuamente lo sguardo, ma conscio che in alcuni rituali, come per l’Ayahuasca, la nausea e il vomito sono necessari e vanno abbracciati nella loro funzione purificante, mi lasciai infine andare e rimessi. Non appena rinvenni, però, ebbi un’epifania – acquisii l’istantanea consapevolezza che gli altri non dovevano ad alcun costo vomitare, cosa di cui li informai. Sentivo dentro di me infatti – sapevo anzi – che se l’avessero fatto non avrebbero viaggiato.

Quando alzai gli occhi, dopo che mi ero fermato per un momento sul divano per riprendermi, una ciotola davanti ai miei occhi era piegata in un modo assurdo e geometricamente impossibile. Era come se essa fosse stata presa e deformata, e la linea che ne componeva il bordo, normalmente una circonferenza, fosse stata trasformata in una curva a forma di U, la cui concavità era rivolta non verso il centro della ciotola, ma nella direzione opposta. Non potevo credere ai miei occhi. Notai la gamba di una sedia davanti a me, che ora era ondulata come una sinusoide. C’è da precisare che nulla di tutto ciò si muoveva: erano tutte distorsioni visive per così dire statiche, il che mi sorprendeva ancor di più. Volsi poi lo sguardo alla finestra, la forma della cui intelaiatura rassomigliava ora a una serpentina, e vidi la baia che pian piano si allontanava, come se il nostro appartamento stesse levitando e volando via come una mongolfiera.

Poco dopo mi alzai e mi diressi in bagno dove, tempo qualche minuto, udii un rumore di sedie spostate e cose sbattute. Veloce andai a vedere e sbalordito notai Aleinn che stava parlando al muro. Ci aveva appoggiato contro dello scottex, e, rivolgendosi a una certa “Versavia”, stava ordinando che il rotolo fosse portato in cucina. Realizzai subitaneamente che Aleinn stava trippando, e di brutto pure. Era la prima volta che vedevo qualcuno trippare, ma mi ero informato a lungo e mi sentivo pronto a gestire la situazione. In quel momento tutta la mia attenzione si focalizzò su di lui e su Einar, che era in quel momento immobile, a occhi chiusi sul divano. In un lampo di secondo assunsi la mia responsabilità “sciamanica” di sitter, e la mia priorità era che tutto a loro andasse bene, che avessero un buon trip e che stessero al sicuro, sia fisicamente che mentalmente. Andai a chiedere a Einar se stesse bene e dove fosse, il quale aprì gli occhi e mi fissò con sguardo vacuo e intenso, senza però proferir parola. Capii così che anche lui era da un’altra parte, e che, nonostante fossi preoccupato e volessi mi esplicitasse come stava, era meglio lasciarlo viaggiare in pace.

Riflettendoci a posteriori abbiamo realizzato come, sittando, io fossi divenuto una sorta di radiotelescopio, un ricettore puro atto solamente a captare e ricevere segnali dall’esterno. Essendo completamente in funzione altrui, l’ego del ricettore, non esprimendosi nell’emissione di alcunché, non esiste nella propria modalità attiva “di default” e in un certo senso si annulla.

In quel momento, Aleinn stava viaggiando a velocità superluminali, balzando tra linee spazio-temporali a comando e saltuariamente incorrendo in loop che fortunatamente non duravano che qualche secondo. Ricordo distintamente che disse <<Cazzo sto viaggiando a una velocità assurda! Ecco sì questa linea di universo. Nah la cambio, eccomi qua. Torno indietro all’altra, poi un saltino e.. cazzo sì l’ho superata! Oh no e adesso da questa come faccio a uscire? Non posso tornare indietro quindi..>>. A un certo punto gli rivolsi una domanda, ed ecco che Aleinn <<Me l’hai già chiesto! Questa è la terza volta che vivo questo momento! Me l’hai già chiesto! Questa è la terza volta che vivo questo momento! Me l’hai già chiesto! Questa è la terza volta che vivo questo momento!>>. In seguito, riferendosi alle sue immedesimazioni <<Ho vissuto 1676 vite allo stesso momento! 1676! Tutto accade allo stesso momento, sono 1676 persone allo stesso momento!>>. Iniziai così da quel momento ad annotare tutto ciò che egli diceva, e lo guidai con domande mirate a fargli esprimere ciò che provava. Un paio di volte, quando una particolare canzone lo portava in un headspace spiacevole e sembrava il suo viaggio potesse prendere una brutta piega, provvedevo a cambiare musica, dalla quale egli era particolarmente suggestionabile. Rimase impressa nella mia memoria, e successivamente in quella di tutti, un’espressione assurda ma massimamente poetica che egli coniò: la precessione degli ulivi.

A quel punto mi spostai, per ovvi motivi, davanti alla finestra che dà sul balcone e incontrai lo sguardo di Willard. Accasciato sul divano, era ormai praticamente disabile. Nuotava in uno stato semicosciente in preda a una botta colossale, risultato della combinazione di edible, svariati purini e l’aver fumato Amanita. Ci scambiammo uno sguardo di assenso, all’erta ma tranquilli: tutto era sotto controllo e sarebbe andato al meglio.

Il trip di Aleinn ed Einar continuò per un tempo piuttosto lungo, la cui narrazione può essere trovata nelle storie dei loro viaggi. Quando Aleinn si sdraiò per terra nell’incavo tra muro e divano mi misi vicino a lui. Eravamo a quel punto senza musica, ed egli cominciò a sprofondare in se stesso, coinvolto in un immaginario strano. Nella sua visione, sulla abat jour accanto al suo materasso era rimasto un solo semino. Colto da un barlume d’intuizione, gli chiesi se potesse toglierlo. Pensavo infatti che quel semino fosse l’ultima barriera che lo separava dall’esperire una completa morte dell’ego. Mi rispose che, l’avesse fatto, temeva che sarebbe potuto “rimaner lì”. Lo rassicurai sul fatto che lì non sarebbe mai potuto rimanere, ma non lo spinsi.

Credo che, se avessi avuto più esperienza, avrei potuto, in qualche modo, guidarlo in modo sicuro alla rimozione di quell’ultimo semino. Tutt’ora, non avrei idea di come fare. Sono certo però che questo è quello che le vere figure sciamanico-guaritrici compiono.

Poco dopo gli effetti di Aleinn ed Einar iniziarono a calare, per poi sorprendentemente svanire per entrambi nello stesso esatto momento. Willard stava ancora dormendo e si svegliò solo il mattino successivo. Dopo aver mangiato qualcosa ci dirigemmo nel paese per una passeggiata notturna e una intima chiacchierata, cui seguì, una volta tornati a casa, un profondo sonno ristoratore.

 

Di gratitudine s’accende

l’animo nostro

divampa

di amore e di armonia

rimembrando come

tutto nacque.

Sul pendio boschivo

di un borgo ligure

a guardare la luna

che sorge da un colle.

Fratelli

mi faccio Nostro

portavoce di FÆW 

a intessere un canto

dire all’universo

Grazie.

 

Conclusione di DM Tripson

Non conosco l’Amanita se non tramite quello che ho trovato sulla rete e ora con quello che ho letto in questo lungo resoconto, mentre conosco bene i funghi psilocybe.

Potrei fare un confronto credibile se avessi provato l’Amanita, ma sono certo che alcune considerazioni si possano fare comunque.

Confermo che qualsiasi sostanza possa essere assunta solo se si conoscono le informazioni di base necessarie, quindi preparazione della sostanza e quantità, oltre alle indispensabili controindicazioni generali e personali.

L’Amanita ha dalla sua una grande imprevedibilità degli effetti in relazione alla quantità, il principio attivo è estremamente variabile in relazione a molteplici parametri, quindi diventa difficile stabilire una dose di partenza certa. Viceversa i funghi psilocybe sono molto più affidabili, e questo li rende più facilmente accessibili.

Ma questo è un reale vantaggio? Sì e no. La parola chiave per approcciare le Piante Maestre e i funghi è sempre una: fiducia. Diamo per scontato che servano le informazioni e il set & setting ovviamente, ma queste sono cose che si ottengono e si organizzano, mentre la fiducia è qualcosa che si costruisce, non puoi importela.

L’Amanita richiede fiducia nello stesso modo dei funghi psilocybe, ma sembra domandare un processo di avvicinamento e conoscenza forse più lungo.

La mia impressione è che l’Amanita abbia bisogno di un “setting” sciamanico, più di quanto possa essere necessario per i funghetti magici che amo tanto. Lo sciamano ha fatto un percorso di conoscenza che gli permette di somministrare quello che serve ai diversi soggetti, o comunque di padroneggiare quello che succede sempre sapendo dove sta andando, a prescindere dalle quantità somministrate.

I FÆW Brother ce lo hanno mostrato, sentivano l’importanza della presenza del sitter, ma a un certo punto sono riusciti a entrare in sintonia col fungo, si sono fidati della loro intuizione e tutto è andato bene. Ma questa decisione è arrivata mentre erano già dentro al processo cerimoniale, non può essere presa prima altrimenti sarebbe incoscienza.

Anche l’Amanita, forse ancora più che con i funghi psilocybe, richiede un periodo di avvicinamento e di conoscenza, del fungo ma anche di sé stessi, le due cose procedono insieme. La quantità è importante, ma lo è molto di più il set & setting, che previene i bad trip e tutela l’incolumità psicofisica, vale anche per l’Amanita.

Vorrei ricordare quanto dice Farkas nella sua relazione iniziale: l’Amanita è meglio consumarla accuratamente essiccata, il processo di disidratazione attiva la trasformazione dell’acido ibotenico – che intossica con i conseguenti effetti – in muscimolo, il principio psicoattivo.

Hai informazioni e storie che vuoi condividere su questo fungo straordinario? Scrivi qui sotto oppure direttamente a me. Ciao!

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DM Tripson

DM Tripson ha pubblicato i suoi primi racconti a 15 anni, sicuro di diventare presto uno scrittore, ma dopo qualche decennio speso a fare tutt’altro ci aveva rinunciato. Un giorno ha scoperto i funghi magici, un incontro straordinario di quelli che ti cambiano la vita, infatti è solo con il loro aiuto che ha potuto scrivere tre libri e decine di post su questo blog!

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